Società Umanitaria – Cineteca Sarda di Cagliari 

In collaborazione con

RAI Sardegna
Comune di Sanluri
Agorà – Coop Culture
presenta

GRANDE GUERRA. L’INCUBO E LA FUGA
DUE FILM SU DISERTORI E RIBELLI DELLA GRANDE GUERRA

Tre appuntamenti per il centenario della Grande Guerra promossi dalla Società Umanitaria di Cagliari, con due film - NON NE PARLIAMO DI QUESTA GUERRA di Fredo Valla (2018) e IL DISERTORE di Giuliana Berlinguer (1983) - che esplorano le reazioni di silenzio e di rifiuto dei soldati gettati nell’incubo della prima guerra mondiale. Un appuntamento si terrà dentro il Museo Risorgimentale "Duca d′Aosta" esposto nel Castello di Eleonora d′Arborea di Sanluri.


> NON NE PARLIAMO DI QUESTA GUERRA
di Fredo Valla (2017)
Sarà presente il regista

Mercoledì 12 dicembre 2018, ore 19, CAGLIARI - Cineteca Sarda, viale Trieste, 126

Giovedì 13 dicembre 2018, ore 17, CASTELLO DI SANLURI – Museo Risorgimentale Duca d’Aosta, viale Trieste, 126


> IL DISERTORE
di Giuliana Berlinguer (1983)
Introduzione di Gianni Olla

Venerdì 14 dicembre 2018, ore 19, CAGLIARI - Cineteca Sarda, viale Trieste, 126


Ingresso libero e gratuito


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NON NE PARLIAMO DI QUESTA GUERRA
di Fredo Valla (2017)
Film concerto su disertori, ammutinati, rivolte, fucilazioni sommarie nella Grande Guerra
prodotto da: NEFERTITI FILM con ISTITUTO LUCE
regia: FREDO VALLA
fotografia: LUCIANO FEDERICI
suono: LUCA BERTOLIN
montaggio: BEPPE LEONETTI (a.m.c.)

IN BREVE
Disertori, ammutinati, rivolte e decimazioni nell’esercito italiano durante la Grande Guerra. Un fenomeno in gran parte taciuto che coinvolse un numero elevato di soldati al fronte. Attraverso vicende di uomini che dissero NO, il film fa affiorare una visione altra del Primo Conflitto Mondiale.


LA VICENDA
Dal telegramma del generale Luigi Cadorna, 1° novembre 1916: “… ricordo che non vi è altro mezzo idoneo a reprimere il reato collettivo che quello dell’immediata fucilazione dei maggiori responsabili e allorché l’accertamento personale dei responsabili non è possibile rimane il dovere e il diritto dei comandanti di estrarre a sorte tra gli indiziati alcuni militari e di punirli con la morte…”.
La giustizia di guerra nel primo conflitto mondiale è un tema sottovalutato nelle sue dimensioni e nella sua crudeltà. L’Italia, in particolare, detiene il triste primato per la ferocia con cui punì i propri soldati. Provati dalla vita di trincea, traumatizzati dalla bombe e dalla morte sempre in agguato, decimati in assalti suicidi, esasperati dagli errori di comando e da tante inutili battaglie per una causa che sentivano lontana, molti dissero NO e disertarono, si ribellarono, compirono atti di autolesionismo pur di non tornare a combattere. Le carte conservate negli archivi, e raramente pubblicate, dicono che non fu un fenomeno isolato: in Italia, dal 1915 al 1918, 1 soldato su 14 subì un processo penale, 1 su 24 venne processato per diserzione.
E’ questo il tema che il film documentario “Non ne parliamo di questa guerra” porta alla luce. Lo fa negli anni delle celebrazioni della Grande Guerra, con toni leggeri e con commozione, intrecciando alle canzoni di guerra e di rivolta, le testimonianze degli storici; alternando l’emotività di alcune pièces teatrali al linguaggio algido e burocratico dei documenti della giustizia militare che parlano di fucilazioni, di decimazione, di pene abnormi. “Non ne parliamo di questa guerra” intreccia storie di uomini che giunti al limite estremo delle loro forze non vollero più obbedire e per questo furono giustiziati, disonorati, considerati vigliacchi e perciò cancellati dalla Storia.
Quegli uomini oggi meritano il nostro rispetto.

COMMENTO DEL REGISTA
Il tema della disobbedienza è affascinante. Disobbedire in tempo di guerra, nel carnaio che fu la Grande Guerra, ha voluto dire coraggio. Un coraggio forse più grande, e più necessario, dell’uscire dalla trincea per andare all’assalto. Il coraggio di pensare con la propria testa, di affermare i propri principi, di ribellarsi all’ingiustizia e ai comandi sbagliati. Il coraggio di mollare tutto e andarsene. La pena tutti lo sapevano, era la morte!
Dissero che era vigliaccheria, invece era coraggio.
I numeri e la quantità di documenti racchiusi nei faldoni degli archivi storici dicono quanto la disobbedienza fu rilevante. Non pochi episodi, tali da non turbare gli atti più eroici, non mele marce, pecore nere o pochi codardi. Si ribellarono i fanti contadini, ma anche non pochi ufficiali che, condividendo la vita di trincea, avevano fraternizzato con i loro soldati.
Non è la prima volta che affronto il tema della guerra. In alcuni film documentari precedenti avevo raccontato le avventure dei prigionieri italiani in India durante la Seconda Guerra Mondiale e le vicende del sommergibile Medusa affondato al largo di Pola nel gennaio del ‘42, ma è la prima volta che mi dedico alla guerra da questo punto di vista. “Non ne parliamo di questa guerra” racconta dei tanti che seppero dire No. Con me ha lavorato una squadra di appassionati, tutti, dal direttore della fotografia, all’ingegnere del suono, al produttore, al delegato di produzione, al montatore, ai musicisti, al colorist ci siamo sentiti un po’ autori. Insieme abbiamo condiviso la convinzione di realizzare un film UTILE.


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IL DISERTORE
di Giuliana Berlinguer (1983)
Attori: Franco Noe′ - Danre Tavera, Antonio Cipriano - Roberto Manca, Pierpaolo Erriu - Gino Comina, Adolfo Lastretti - Urbano Castai, Paolo Meloni - Sindaco, Omero Antonutti - Don Coi, Renzo Muzzu - Antonio Isalle, Mattia Sbragia - Saverio, Piero Nuti - Alessandro Comina, Isella Orchis - Lica, Giacomo Pala - Farmacista, Irene Papas - Mariangela, Enrico Pau - Monsignor Pau, Edoardo Ricciu - Maresciallo, Pasqualino Satta - Gregorio, Salvatore Mossa - Francesco Isalle
Sceneggiatura: Massimo Felisatti, Giuliana Berlinguer
Fotografia: Sandro Messina
Musiche: Romano Trina

Trama: Ai maggiorenni di Cuadu - un piccolo paese della Gallura - che hanno deciso (siamo nel 1922) di erigere un monumento ai Caduti della grande guerra, perviene una offerta che contrasta con la tiepida accettazione generale. Essa è di un′entità più che rilevante: sono le 830 lire che Mariangela si è vista accantonare dal prete Coi, che l′ha come domestica, in quindici anni di lavoro. La donna vive con il marito Gregorio e passa il suo tempo fra la canonica e la faticosa raccolta di fascine sui monti: essa ha perduto in guerra due figli, è quindi contenta che anche i nomi di Giovanni e Saverio siano ricordati e vuole contribuire a che essi siano incisi sul marmo. In realtà, tuttavia; prima che la guerra finisse, Saverio aveva disertato, era di nascosto tornato a casa, per vivere alcuni mesi affetto da malaria in una capanna sul monte. Al corrente di ciò erano stati posti solo il padre e don Coi. Mariangela aveva assistito e curato con infinito amore il figlio che, alla sua morte, venne tumulato lassù, tra i sassi e gli arbusti della montagna. La donna detesta e maledice la guerra che l′ha privata di due figli e pietrifica nel suo dolore il culto ed il segreto del figlio disertore (e, per di più, uccisore, durante un assalto; del proprio capitano). I maggiorenti del paese sardo, nel quale già si avvertono le prime avvisaglie delle provocazioni e degli scontri fra i giovani lavoratori della vicina miniera, i reduci della guerra ed i proprietari terrieri pronti a cedere alle lusinghe del fascismo, fanno di tutto perché la inaugurazione del monumento si risolva anche in un più largo consenso popolare da parte della gente di Cuadu. Essi decidono di restituire a Mariangela la esorbitante somma da lei offerta (trattenendo solo un contributo di cinque lire: lei, testarda, continuerà furtivamente e giorno dopo giorno a versare l′importo che aveva stabilito) e organizzano una grande festa. Ma nel giorno della manifestazione, che si svolge in una cornice più patriottarda che sinceramente patriottica e che presto si trasforma in rissa tra fascisti e giovani minatori (con l′assassinio a bastonate di uno di questi), Mariangela non sarà sulla piazza. Il suo posto è dalla parte del perdente: esso è e resterà lassù, vicino all′anonimo tunnel di pietre grigie, là dove Mariangela ha curato e visto morire il figlio Saverio. In una consapevole adesione a tanto dolore, anche don Coi sarà assente dalla cerimonia ufficiale.

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